depardon

Raymond Depardon è un rinomato fotografo e regista francese nato il 6 luglio 1942 a Villefranche-sur-Saône, Francia. È considerato uno dei grandi maestri della fotografia documentaria e ha avuto un’importante carriera nel campo del giornalismo e della fotografia d’autore. 

La sua carriera fotografica ha inizio negli anni ’60, quando inizia a lavorare come fotografo presso l’agenzia di stampa Gamma.

Ha viaggiato in diverse regioni della Francia e del mondo, documentando temi sociali e politici, conflitti armati, paesaggi, e ha realizzato ritratti di personalità famose.

Nel 1978, Depardon entra alla Magnum dove continua il suo lavoro di reportage.

Nel corso degli anni, Depardon ha pubblicato numerosi libri fotografici, e le sue opere sono state esposte in importanti mostre internazionali. La sua fotografia è caratterizzata da uno stile sobrio ma profondo, focalizzato sulla vita delle persone e sulla società, e spesso cattura momenti di grande intimità e autenticità.

Oltre alla fotografia, Raymond Depardon ha lavorato anche come regista, dirigendo molti documentari e film, alcuni dei quali sono stati presentati in importanti festival cinematografici.

La sua carriera è stata ricca di riconoscimenti e premi, e il suo lavoro ha contribuito a dare forma e significato alla fotografia documentaria contemporanea.

“È autunno, siamo agli inizi degli anni Novanta. Ho comprato un vecchio camion austriaco Pinzgauer, un sei ruote motrici attrezzato per dormire nel deserto. Ho deciso di fare delle fotografie e in seguito un film sui contadini della mezza montagna. Parto da solo, in modo da riuscire a conoscere meglio il territorio e gli abitanti che vivono in certe regioni della Francia abbandonate. Ho avuto la fortuna di vivere i primi anni della mia vita in una fattoria nella valle della Saona. Non ho nostalgia della mia infanzia; anche se godevo di una grande libertà, vedevo che il lavoro dei miei genitori era molto duro, lontanissimo dai cliché della vita di campagna.

Sono andato nel sud della Francia, in riva al mare, per poi risalire pian piano lungo le prime pendici montuose delle Cevenne dormendo nel camion. Volevo avvicinarmi lentamente a quelle valli, agli altopiani, a quell’entroterra mediterraneo che era già abbandonato e disastrato. Molti dei suoi abitanti si erano spostati lungo la costa per cercare lavoro nelle grandi città e tornavano ogni tanto nel fine settimana per far arieggiare le case.
I giorni passavano e io salivo di altitudine. Guidavo su strade sinuose, vuote, difficili da trovare, strade che portano al silenzio della natura, senza mai raggiungere l’alta montagna. Avevo dei nomi scritti su un foglietto, delle cartine dettagliate, come se stessi andando in una qualche zona isolata dell’Africa. Per me è stato un viaggio appassionante. Per incontrare dei contadini dovevo però essere introdotto da un vicino, un sindaco o un postino; era più difficile che trovare dei Peul-Bororo nel Sahel o dei Chipaya sull’altopiano boliviano. Non si entra in una fattoria senza avere un appuntamento. Mi inoltravo in un paesaggio ostile in cui i rari pedoni che incrociavo quasi mi evitavano. Riscoprivo il mio paese, la mia cultura. Il tempo passava, mi spostavo di continuo e non avevo ancora incontrato nessuno, nemmeno l’ombra di un conoscente o anche solo l’inizio di una pista che mi permettesse di elaborare un progetto. Fotografavo con gioia quella grande solitudine. Ero affascinato da quelle strade e dai piccoli paesini vuoti. Penso che sia stata forse una delle esperienze più belle della mia vita. Alla fine sono riuscito a essere introdotto nelle cucine delle fattorie e a incontrare i miei primi personaggi. Mi ricevevano di mattina, davanti a un caffè, e mi facevano un mucchio di domande sulla mia vita, sui miei cari; al termine della chiacchierata sapevano tutto di me e io continuavo a non sapere niente di loro. Mi osservavano, mi scrutavano, e ogni mia parola veniva soppesata; era impossibile fare una fotografia o una domanda indiscreta. Ci lasciavamo senza sapere se davvero avremmo avuto voglia di rivederci. Una volta salito sul camion iniziavo a rimuginare: Desideravo incontrarli di nuovo? Mi sarebbe piaciuto fotografarli o filmarli?
Ho passato mesi interi alla guida del mio camion per risalire il Massiccio Centrale. Claudine, a Parigi, non era preoccupata per la lunga assenza; lei conosceva bene quella regione di altopiani e non vedeva l’ora di raggiungermi per filmarli. Mentre guidavo, contavo le volte in cui mi era stato detto che la Francia era cambiata, che l’agricoltura adesso era un mestiere moderno e redditizio, anche se dei contadini della mia infanzia non c’era più traccia. Per non fare torto all’agricoltura francese non si poteva far altro che parlare del progresso. Io vedevo chiaramente che quei terreni accidentati di mezza montagna non erano adatti all’agricoltura intensiva che veniva pianificata in tutta la Francia. Gli uomini e le donne che abitavano quei territori desolati e persistevano nel coltivarli erano dei saggi, dei filosofi, degli eroi; erano un passo più avanti nella direzione dell’inevitabile e imminente decrescita. Quello choc politico e ideologico è stato un motore per il mio progetto. È arrivata la neve, e anche il freddo. Era inverno, io sono rientrato a Parigi per poi tornare lì a primavera. Ho iniziato a fotografare le rare persone che mi attiravano, una foto dopo l’altra, senza rompere l’armonia che si stava stabilendo tra di noi. Un giorno, un contadino mi ha detto: «Sono contento di rivederla», ed è stato a quel punto che abbiamo preso in considerazione di iniziare a girare Profils paysans: L’Approche. Dopodiché abbiamo proseguito con Profils paysans: Le Quotidien, per poi terminare con La Vie moderne. Oggi molti di quei contadini sono scomparsi. Rimangono i nipoti e le nipoti, ma sono pochi i figli che hanno rilevato le aziende agricole di famiglia. In estate, durante le vacanze, i piccoli paesini si ripopolano per un breve periodo. Amo quei luoghi, per me è un grande piacere tornarci con regolarità per informarmi su come vanno le cose.”
 
Raymond Depardon 17 gennaio 2020



 

Le foto di questo articolo sono state scattate alla mostra organizzata alla Triennale di Milano in collaborazione con la fondazione Henry Cartier Breson :”Raymond Depardon. La vita moderna”.

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